I dolori del giovane Fini
La querelle Fini Berlusconi è destinata ad andare per le lunghe, perché nonostante le pezze di berlusconi Fini ribadisce che così proprio non si può andare. La sonnacchiosa pausa estiva ci ha consegnato un Berlusconi stremato, invecchiato, alle prese col torbido di casa sua e con gli alleati sempre vogliosi di smarcarsi e ritagliarsi uno spazio sui giornali. Il ruolo istituzionale di Presidente della camera sembrava aver precluso qualsiasi possibilità di sortita al delfino di Almirante, il quale invece vedendosi coperto dal carisma di Papiciula continua a mostrare tutta la sua insofferenza.
Sono lontanissimi i tempi in cui il cavaliere, non ancora sceso in campo, esprimeva la sua simpatia per il fascistello dai modi affabili che guidava il movimento sociale italiano in uno scontro impossibile contro il buonismo seriale di Veltroni: in palio lo scranno di sindaco di Roma.
Fini venne sconfitto da Veltroni, ma il margine fu onorevole e i voti per un partito extraparlamentare furono una enormità. Grazie anche al cavaliere il delfino di Almirante iniziava ad essere visto non solo come un esponente della destra belluina, chiusa, polverosa, e schiava di vecchi vessilli. Fini veniva perlopiù considerato come un portatore sano di manganello, un signore dall’aspetto serio ma non serioso, in grado di infiammare le folle con la sua buona retorica e richiamare a se gli scontenti, che nel dopo tangentopoli avevano il bisogno di appoggiarsi ad uno dei pochi partiti lasciati incolumi dalla sete giacobina di giustizia.
In questi quindici anni le posizioni di Fini sono state all’insegna della ricerca del consenso attraverso un processo veloce e inarrestabile. E’ sopravvissuto ad agguati, ribaltoni ed ai mugugni dei suoi alleati, incapaci di adattarsi e di capire il percorso politico, dimostrando se non altro di essere temprato per la vita politica. Va bene puntare alla costruzione, dicono i delusi, ma senza rinnegare tutti i valori che hanno dato carne e sangue alla destra italiana. Certo sono voci isolate, ma non mancano di far rumore.
Nel isolare per poi riannettere la Mussolini prima e la Santanché poi, sembra quasi voler dire “non ci sarà nessuno a destra all’infuori di me”; e così anche Storace e i suoi fedeli, dopo aver mangiato la foglia, tolgono il disturbo allontanandosi dalla tavola imbandita da Fini e Berlusconi per vivere di stenti.
Nel frattempo la base, storicamente vicina a Fini, incomincia a storcere in naso. Inizia l’era delle grandi scuse e del perdono, nel quale Fini assurge un ruolo quasi messianico, portando a se tutti i peccati del fascismo ed espiandoli in un liberatorio viaggio in Israele. Mussolini considerato inizialmente il più grande statista venne seppellito senza troppi sensi di colpa, ed il fascismo, la benzina che per anni ha fatto ardere la fiamma dell’MSI nel quale l’imberbe Fini trovava ristoro, venne da lui etichettato come male assoluto.
Fin qui si parla di opinioni di un leader, perlopiù condivisibili pur con qualche sfumatura colorita, ma che nelle intenzioni vorrebbero accelerare il processo di maturazione di AN, ed ottenere finalmente una dignità di destra europea.
L’alleanza con Berlusconi e la presenza della lega, non più interessata a cavalcare il secessionismo, rende AN il ventre molle del centro destra. E’ il classico vaso di terracotta in mezzo ai vasi di ferro, schiacciato sia da un partito di plastica ma da una leadership carismatica ed indiscutibile, che dalla lega, che a parte il nazionalismo, l’amor di patria e alcune uscite folk di alcuna sua classe dirigente, mantiene delle posizioni riconoscibili e chiare, spesso non poi così lontane dal vecchio MSI.
Non so se Fini voglia smarcarsi per puntare al Colle, o se rivendichi le sue posizione laiche ad ogni piè sospinto per ritagliarsi un posto al sole in attesa che anche Silvio, come Mike Bongiorno, si accasci in un corridoio illuminato di Montecarlo consegnandogli idealmente le chiavi del PDL.
Quel che è certo è che se è vero che si è dimostrato un animale politico dall’istinto di sopravvivenza spiccato, in un prossimo futuro dovrà fare i conti con un elettorato di destra dalla memoria dai tre lustri, stanco forse dei suoi battibecchi, delle sue retromarce improvvise e del suo voler ribadire ad ogni referendum o ad ogni questione etica la sua intenzione di voto, come se questa interessasse veramente agli italiani.
Presto a tardi non ci sarà più Papi, che tra una ancella e l’altra funge ancora da collante e da parafulmine, e il giovane Fini dovrà abbandonare gli spiriti adolescenziali per decidere cosa fare da grande, elettorato permettendo s’intende.
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