La paura della morte
Una frase celebre sulla morte recita così: “se la morte non fosse una soluzione gli uomini avrebbero trovato il modo di aggirarla”.
Al di là del fatto che gli uomini non ci siano riusciti rimane l’evidenza che ci tentino continuamente con scarsissimi risultati.
In un mondo in cui chi più chi meno fa di tutto per allontanare i segni della vecchiaia o in modo isterico assurge a ragione di vita la frase “il mondo è in mano ai giovani” figuriamoci quanto è difficile parlare di morte!
Il 2 novembre, giorno dedicato alla commemorazione dei defunti per credenti e atei, non se ne può proprio fare a meno. Quindi se siete maschi o vi sentite donne e abitate in via Gradoli mettete pure le mani sui gioielli di famiglia se questo vi fa sentire meglio ma sappiate che la scaramanzia qui non c’entra.
La morte prima o poi tocca a tutti, indistintamente.
Iniziamo a sfatare i luoghi comuni, i miti consolatori che ci offre la letteratura, la poesia e il cinema: non è vero che la morte livella tutti. Ovviamente non ci sono vermi di serie A o di serie B, non ci sono putrefazioni puzzolenti o profumate, nemmeno mettendo nella bara dei calzini in cotone imbevuti di bicarbonato, ma differenze nel modo di morire sì.
Si può morire ad esempio ponendo fine volontariamente alla propria vita come è successo in carcere alla brigatista rossa Diana Blefari, componente della cellula che ha decretato la morte di D’Antona e Marco Biagi.
Si può morire comunque in età avanzata per tumore come è capitato ad Alda Merini, una delle più grandi poetesse del Novecento, che ha trascorso la sua esistenza, per citare Vasco Rossi “in equilibrio sopra la follia”.
Si può morire come Michael Jackson imbottito di antidolorifici dal tuo medico personale ed essere celebrati con un film.
Si può morire di influenza H1N1 a undici anni in un ospedale a Napoli.
Insomma la morte ha una certa fantasia, ogni vita è diversa dalle altre ma anche la morte non scherza.
In questi giorni dedicati alla visita dei propri cari scomparsi a deporre il mazzolino di fiori nella lapide avviene una seduta di analisi globale in cui ciascuno, di fronte al viso sorridente stampato sul marmo, viene da chiedersi, in un misto di tristezza, nostalgia e disappunto: “quando toccherà a me? quando ci sarò io dietro questo pannello, vestito di tutto punto e incastonato in un cofano di noce laccata…?” per poi girare i tacchi e uscire dal cancello nel quale si accalcano i venditori di fiori, i visagisti del dolore, gli arredatori del decomposto, i mercanti del trapasso e tornare furtivi alla vita di sempre o alla morte di sempre, a seconda dei punti di vista.
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