Non facciamo martiri
Cari signori, giurai dopo il mio primo articolo su Stefano Cucchi di non riprendere in mano l’argomento, ma, mi sembra doveroso smentirmi dati i livelli che questa storia ha raggiunto.
Quel ragazzo è morto ammazzato, il processo non si è ancora svolto ma solo i ciechi e gli imbecilli possono credere che sia davvero deceduto (come pensa Giovanardi) poiché era “drogato e anoressico”.
Gli imputati sono diversi, dalle guardie ai medici, ma non è solo questo che deve preoccuparci. Di fronte alle tragedie, alle sciagure, noi italiani perdiamo l’obiettività e la razionalità. Basta andare a ritroso, ad esempio al terremoto dell’Aquila dove “bisognava non fare polemica per non disturbare i morti”. Ma avrebbe avuto senso fare della polemica se non ci fossero stati dei morti?
È proprio poiché ci sono i morti che si deve fare polemica. Pochi l’hanno capito a suo tempo, anzi, quasi nessuno, dato che nessun giornale o telegiornale ha detto che l’ospedale San Salvatore era stato costruito dall’Impregilo.
Senza i colpevoli dunque, non ci sono martiri.
Difatti quei ragazzi morti sotto le macerie della nullagine italiana fatta da condoni edilizi e dalla cultura del “costruite come cavolo vi pare” sono stati dimenticati. Loro non avevano colpa. Stefano Cucchi si, dato che ora passa all’opinione pubblica come un martire da venerare.
Io a questo mi oppongo.
Questa sciocca opinione pubblica italiana è oberata della sua “fabbrica dei santi”, che come la chiesa, analizza metodi e procedure delle cause di canonizzazione. Ciò che più ha fatto scalpore, è che sono stati proprio i poliziotti a menare a morte Stefano. Come se un uomo quando indossasse la divisa perdesse le sue attiudini “umane”, come se diventasse un “Papa buono” al di sopra delle parti, come se avesse la sapienza di Gandhi o un contatto telepatico con il padre eterno il quale gli dice ciò che è giusto fare e cosa no.
“Chi va con lo zoppo impara a zoppicare” s’andrebbe a pensare, e i poliziotti vivono, sono a contatto, parlano, si confrontano, cercano di capire i delinquenti, e, miei cari signori, a furia di stare a loro contatto, ne acquisiscono i metodi. Questo è inevitabile, e non dovrebbe portare allo stupore, ma ciò che avrebbe dovuto farlo è che ora Stefano Cucchi è tacciato dall’opinione pubblica d’essere un santo.
Qua saltano le situazioni e il rispetto che noi dobbiamo all’intelligenza. Stefano non deve essere martirizzato, deve essere fatta giustizia su chi ha commesso quell’infamia, e, chi l’ha commessa deve perdere il posto e essere sbattuto in galera ma non bisogna dar adito alla sua innocenza.
Il messaggio che passa è che Stefano era un bravo ragazzo, immacolato, ucciso da delinquenti”. No signori, il messaggio che deve passare è che “dei delinquenti (assassini) hanno ammazzato un altro delinquente (spacciatore) comettendo un’abuso di potere nell’esercizio delle proprie funzioni le quali devono essere quelle citate sui tomi dei loro manuali d’esercizio”. Tra i due reati chiaramente il meno grave è stato quello del ragazzo, ma questo deve anche insegnare come all’opinione pubblica tra due reati, si colpevolizza solo il più grave, come se ci sia un segno di sottrazione all’interno dell’illegalità.
In conclusione ognuno è libero di pensarla come crede, soprattutto quando si parla di situazioni delicate, ma se devo avere un santino all’interno del mio portafogli, non vorrei quello con la foto di Stefano ma bensì quello degli studenti deceduti nel terremoto dell’Aquila, loro si che non ne avevano davvero colpa.
Stefano Poma (collaboratore)
3 comments