Spir(r)it(t)o santo
Cari signori, mi sono consentito tre giorni sabbattici dai giornali nazionali per motivi personali, e, quindi, dato che per pubblicare su Moschebianche non cè bisogno di cavilli editoriali complessi, quest’articolo, è dedicato a questo sito “sardo”. Il soggetto “spirritto” sono sicuro che già lo conoscete, il sostantivo, non credo molto. Questa mia ultima considerazione è nata dal fatto che molti di voi clericali o conservatori o ignoranti, scegliete voi, abbiate lasciato al mio ultimo articolo, apparso su dove state leggendo,“Cesta o croce”, dei commenti superficiali. Non ho la presunzione di rinfrescarvi la memoria, ma bensì di buttarvi dell’acqua gelata addosso che spero porti ad’un risveglio dopo la sbornia. Questa sbornia si chiama “mistero della fede”. In questo momento m’è apparsa Maria Goretti, la quale sollecita un mio articolo sulla verità della sua santificazione. E questo farò. La cosiddetta “fabbrica dei santi”(chiamata così anche all’interno delle mure vaticane), oltre che “pescare i martiri” (ecco perché spirritto), persegue una politica ben precisa, quella di dotare ogni paese dei suoi santi, scegliendo di preferenza fra i cattolici che, in ogni luogo e in ogni tempo, sono stati vittime del potere politico per fedeltà alla chiesa e alla sua religione. Nel caso di Maria, la bimba, ha preferito farsi ammazzare piuttosto che farsi violentare, e, per la chiesa, di conseguenza, martire della purezza. Maria Goretti, nata nelle Marche nel 1890, si trasferì con la sua poverissima famiglia contadina analfabeta nelle Paludi Pontine, vicino a Roma, dove le condizioni di vita erano simili ai paesi che oggi definiamo del “Terzo Mondo”. Era un’Italia giovane, un’adolescente, che univa alle formidabili ambizioni imperialiste di Crispi, una miseria da popolazione indigena africana. Questo era il mondo in cui nacque Maria Goretti. Due individui su tre erano analfabeti. Sei su dieci sono contadini, impegnati a mantenere famiglie troppo numerose con terre grame e sfruttate male. Le Marche e l’Umbria hanno le famiglie più numerose, prova dei condizionamenti esercitati fino a pochi decenni prima dallo Stato della Chiesa alla periferia dei territori, fate l’amore per fare figli. La povertà alimentare era come una mano schiacciata sulla testa a impedire la crescita, eravamo in media, 8 centimetri più bassi. E si moriva parecchio, la vita media era di 17 anni, comprese le morti infantili. Arrivava ai 60 anni quasi il 20 percento in meno di quelli che ci arrivano adesso, se valutiamo la vita media di chi aveva la fortuna di sopravvivere ai primi 5 anni. Chi, nonostante tutto questo, voglia tenersi cara l’idea di quell’epoca come tutta trine e galanterie, gentilezze e allegrie, consideri che quel mondo era riserbato a pochissimi (i Principi di cui sempre parlo), circondati da un popolo lacero, analfabeta e aggressivo. Nel decennio 1891-1900, con una popolazione che era metà di quella attuale, gli omicidi volontari furono quasi 4000 all’anno (22 volte in più che in Gran Bretagna, 6 volte più che in Francia) contro i 1400 dei nostri “feroci” anni Settanta. I “fatti di sangue” tra il 1890 e il 1911 raggiunsero la cifra di 2 milioni. La gente si faceva la doccia due volte all’anno, si cambiava la camicie ogni sei mesi e cambiava le lenzuola ogni due anni. Era questa la Belle èpoque di Maria. La Chiesa nei santini e nelle decorazioni che la rappresentano, la mostrano come una bellissima bambina, florida, sana. Non fù cosi. Maria era una piccola bimba di undici anni, resa ancora più piccola, nel fisico e nella mente, dalle spaventose condizioni di ignoranza e povertà in cui viveva. Non era nemmeno sana. Era piena di pidocchi, e, dall’autopsia risultò che ormai la milza era spacciata. La pellagra faceva più vittime di Hitler. Il suo assassino, il fratellastro Alessandro Serenelli, portava in se le passioni sessuali che un ventenne ha a quell’età. Maria era l’unico “oggetto sessuale” o “cosa” a lui disponibile. Quando si confessa sente i sacerdoti scatenati contro i giovani “che si toccano”. Gli dicono che se continuerà a masturbarsi non potrà più generare, che il suo midollo spinale diventerà acqua, che ingobbirà e che rimarrà paralizzato. Queste minacce, che non venivano solo dal confessionale, essendo una credenza diffusissima, aumentano la sua disperazione, la sua voglia e il suo bisogno di “fare la scarpetta” con una donna, visto che è anche una questione di salute, ma non lo trattengono dal continuare a masturbarsi. Disse ai medici della perizia: “A donne non vi sono andato mai, però la donna mi piace, ed a lei penso quando mi masturbo, vizio che ho da diversi anni, anzi dico la verità spesse volte mi accadeva che vedendo Maria avevo degli eccitamenti sotto ed ero costretto ad andare in camera a masturbarmi, perché la ragazza mi piaceva giacchè non era molto bella, ma una cosa giusta, insomma a me piaceva”. Certo che gli piaceva era l’unica femmina a portata di mano. Eccoci a quel sabato 5 luglio 1902. Sono le 3 del pomeriggio, da poche ora si era terminato il solito pranzo miserabile, “Quel mese pativamo la fame dirà Alessandro”, il quale sotto quel caldo afoso e gli insetti che gli coprivano i vestiti laceri, scrutava Maria mentre si dirigeva nella sua camera, sola. Alessandro ha bisogno. Sale i diciotto gradini e il cuore si gonfia e si sgonfia troppo in fretta. Passa davanti a Maria senza dirle niente. È sudato, sporco, e lascia dietro di sé un tanfo d’animale. Va in camera sua, prende un fazzoletto, si asciuga di nuovo la fronte, il collo, le mani, lo mette in tasca. Ora toglie dalla cassetta degli attrezzi una specie di lungo chiodo quadrangolare lungo 23 centimetri e mezzo, con il manico d’osso. Serve a fabbricare scope. E in quell’occasione serviva al ragazzo per imporsi sulla propria timidezza, come un rapinatore che sguaina la pistola al negoziante. Vede Maria, “vieni un momento qua”. Maria non risponde e “visto che non mi rispondeva non perdetti tempo, la presi per un braccio e la trascinai dentro casa e rinchiusi la porta. La Maria impallidì per la paura e tremava” (questa frase di Alessandro fu cancellata dai prelati che santificarono Maria, poiché le sante, a regola, dovrebbere respingere il peccato e affrontare il carnefice con un sorriso, guardando verso il cielo). Alessandro l’afferra e la costringe a sdraiarsi su un basso panchetto di legno lungo un metro. Finalmente farà “scarpetta”, deve mettere “u’cellu” lì dentro, ora o mai più. Lo estrae, mentre con l’altra mano trattiene Maria. È terrorizzata, urla, si dimena, ma Alessandro riesce a sdraiarsi su di lei e le “appoggia l’asta virile sulla pancia”. Maria stringe le cosce come uno schiaccianoci, piange: “Dio non vuole queste cose, tu vai all’inferno”. Alessandro le preme sulla bocca il fazzoletto. Durante il processo penale Alessandro dichiarò che, capito che non ce l’avrebbe fatta a violentarla, rinunciò ai suoi annaspamenti con la mano destra e afferrò il punteruolo. L’alzo su di lei. A quel punto Maria “impaurita, mostrò di voler cedere alle mie lascive voglie” ed esclamò tre disperati “si, si, si”. Ma lui, ormai fuori di sé, la colpi lo stesso. Tredici coltellate che non provocarono la morte della bimba direttamente, ma che, unita la lentezza del baroccio che doveva condurla all’ospedale, permisero a germi e batteri d’invadere il suo corpo passando per le aperte ferite. Maria Goretti fu santificata il 24 giugno 1950, erano le 5 del pomeriggio d’una bella giornata di sole, San Pietro affollata, circa 500.000 persone. “O giovani fanciulli e fanciulle dilettissimi, pupille degli occhi di Gesù e Nostri, dite, siete voi ben risoluti a resistere fermamente, con l’aiuto della Grazia Divina, a qualsiasi tentazione?”, “Si!”, rispose la folla a Pio XII. “Decretiamo e definiamo che la Beata Maria Goretti, Vergine e Martire, è Santa”. Bene, con queste ultime parole del pontefice mi congedo. So, che anche quest’articolo, come l’altro e come i prossimi mi porteranno molte critiche, ma io ho soltanto voluto dare a Maria il nome del suo vero assassino, che non è stato Alessandro Serenelli, ma che è stato il vuoto culturale totale nel quale è vissuta, lei si che dovrebbe essere martirizzata dalla storia come “Martire dell’analfabetismo religioso”.
Stefano Poma (collaboratore)
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