Lettera aperta ad Amanda Knox
Ciao Amanda,
mi rendo conto che il momento non è dei più felici, eufemisticamente parlando. Il tuo cuore è ora stretto tra rostri roventi, e la sentenza di primo grado altro non fa che ritorcerli e rigirarli sadicamente.
Io, che di quel dolore sono solo un attonito spettatore, non posso fare a meno di rompere gli indugi e scriverti ciò che penso nella speranza, probabilmente vana, di sgravarti dal peso che ti sotterra, di sollevare il plumbeo sudario che ti smorza il fiato.
Ma andiamo con ordine.
La prima volta che ti vidi dopo la morte di Meredith rimasi colpito. Il tuo viso tondeggiante, incastonato fra capelli castani, sembrava quello di una bambola di porcellana. Ti stringevi le spalle infagottata in quel piumino scuro, col volto sferzato dal freddo di quella notte di Perugia e dalle prime calunnie. Stringevi il tuo compagno Raffaele ma guardavi altrove, tra l’obiettivo del fotografo e l’infinito.
In quello sguardo spaurito capii che eri innocente, ma capii anche un’altra cosa: avrebbero fatto di tutto per punirti. Eri bella e indipendente, il cibo preferito da dare in pasto ai giornali che volevano una mantide religiosa come Erika De Nardo, quella sciacquetta a cui scrissi diverse lettere senza mai ottenere una risposta.
Poi infine ti portarono in caserma, tirandoti per i capelli come un Cristo. Volevano un nome, quelli, e tu glielo hai dato sconvolta da quel trattamento. L’unica differenza da quel tribunale giudeo nella Palestina di 2000 anni fa sono solo i tempi, decisamente più rapidi.
Tu Amanda non hai avuto nemmeno quella grazia, ha dovuto sopportare lo stillicidio di accuse, dosate quasi sapientemente per prolungare l’agonia. Hai pianto, hai toccato con mano i fangosi abissi della disperazione, ma non hai perso nemmeno la voglia di vivere, di sbeffeggiare i tuoi aguzzini con mise colorate, come la maglietta che ti regalò tuo padre Curt col messaggio beatlesiano che diceva che non abbiamo bisogno nient’altro che di amore.
Ed ancora altre critiche, “vuole fare la diva” dicevano. Le più perfide erano le donne croniste rose dall’invidia, perché con un tuo sorriso cancellavi ogni altra presenza femminile, rendevi la loro presenza inutile, mero orpello di contorno, insignificante tappezzeria umana.
Non chiedo che tu ti possa fidare di me, almeno subito. So anche che ti diranno che scrivevo lettere simili a Elisabetta Ballarin, la bestia di Satana condannata a ventitré anni. Ti diranno questo ed altro, lo so.
Ma fra ventisei anni io sarò fuori ad aspettarti, loro no, saranno troppo concentrati per un nuovo martirio mediatico.
Ciao Amanda, e tieni duro perché non sei sola.
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