Non avrai altro Premier all’infuori di me
Indro Montanelli diceva di B: “Silvio Berlusconi ha un rapporto tutto suo con la verità. È un mentitore professionale, mente a tutti, sempre anche a se stesso, al punto da credere alle sue stesse menzogne”. E aggiungeva: “tutti, più o meno, si amano. Berlusconi di più. Non solo si ama, si corrisponde anche”. Il popolo, soprattutto quello italiano, ama il proprio leader politico. Da Cavour in poi, passando per Mussolini planando su Craxi e arrivando a B, poco importa il suo operato, ma molto importa l’immagine di sé stesso che agli altri dà. Quest’immagine è sempre imbellettata, è sempre dipinta, è sempre truccata da primadonna in techncicolor. L’immagine del Premier è a somiglianza del “Ducetto di cartone”, dato che quello in carne e ossa finisce sempre appeso per i piedi. È una scelta premeditata questa, o la pompa di benzina, o Hammamet, o la gloria di Piazza Venezia, o la gloria dei conti in Svizzera. In entrambi i casi, ad ogni modo, a rimetterci è sempre lui, il popolo. Nel primo caso, il senso e la ragione di chi sta sotto al balcone vengono accecate dalla luce di chi ad’esso si affaccia, nel secondo, giaciono per natura, ammutolite e assordate. Due diverse razze di Magnifici. Questo Magnifico, non dubita della sua parola, non si ferma davanti a nessuna panzana, non conosce confini alla balla, fabbrica frottole che monta e poi smonta, anche controproducenti. Vive perennemente all’interno del bunker prefabbricato e confezionatogli dall’ignoranza italiana in loco, creata ad hoc dai padri della Chiesa e riadattata al mistero della fede anche nel giuoco poltico, figliuoli sempre pronti a dimenticare e amanti dello stupore. Nessuno o pochi ne comprendono i difetti posseduti da questo Premier. Quello che fa la grandezza di uno che vorrebbe essere considerato uno statista, non sono i tacchi. Per B si può ricorrere al linguaggio scolastico: gli mancano le basi. Lui, come lo scolaro che copia dal vicino di banco e che vuole la sufficenza o almeno il segno positivo, mente anche nell’aspetto, si alza i tacchi, ma che, non gli permettono tuttavia di essere all’altezza. Dice che il fratello di Romolo si chiamava Remolo, e chissà che non fosse anche parente di Brontolo. Vorrebbe andare a salutare papà Cervi, che è morto nel 1970 ma è consentita anche la visita ai cimiteri, insomma, qualche volta si distrae. B è un grande comunicatore, se gli spuntassero le tette potrebbe sostituire Barbara D’Urso a pomeriggio cinque, il problema è quello che dice. B come Robin Hood, non perdona nessuno, neanche l’ alleato Fini, ha un’unica strategia, quella di impedire al paese di affrontare i problemi reali. Gli parla dei bambini bolliti, dei magistrati fiancheggiatori della sinistra, dei coop criminali e dei politici ex mangiapreti. B in Italia non può essere visto da vicino. B è troppo luminoso, per osservarlo ad occhio nudo senza filtri e veline, bisogna allontanarsi dalla sua immagine, andare lontano, all’estero. Là non c’è Vespa, non c’è Fede, non c’è Capezzone, Lupi, Bonaiuti, e mi fermo qua poiché capisco che qualcuno di voi può avere lo stomaco debole. All’estero, chi racconta bugie, perde le elezioni o rischia di perdere il posto. Da noi no. Popolo di creduloni questo nostro. La balla da noi aiuta, chi la utilizza, vince. Si è passati dalla discesa in campo per fermare le orde comuniste al “meno tasse per tutti” al “contratto con gli italiani” firmato dal notaio Bruno Vespa nello studio di Porta a Porta al “il mio conflitto di interessi sarà risolto nei primi cento giorni del mio governo”. È un cacciatore che anziché sparare alla lepre, la lancia, e tutti dietro a seguire quella lepre. Ha avuto un merito B, come Gesù, s’è creato la propria religione. Gli ingredienti ci sono tutti: c’è il Padre che l’ha mandato sulla terra per salvarci dal male. Questo male è il comunismo e la politica illiberale, e il giorno del suo Natale è il 26 gennaio, quando nel ’93, il Messia decise di scendere in campo. Ci sono il bue (Bettino Craxi) e l’asinello (Ezio Cartotto). Ci sono i Re Magi (Riina, Provenzano, Ciancimino), i quali gli portarono dei “regali” per augurargli “buona fortuna”. C’è San Pietro (Marcello Dell’Utri), che riceve dalla viva voce del Messia il più difficile degli incarichi: “tu sei Marcello, e su questa pietra, fonderai Forza Italia”. Ci sono gli appostoli (Maroni, Urbani, Letta, Gasparri, Martino, Previti, Tremonti, Gnutti, Matteoli, Borghezio, Pagliarini e Biondi). C’è il popolo ebraico incattivito contro di lui (Staff di Annozero, Travaglio, Di Pietro e c.). C’è Longino (Tartaglia), con la sua lancia (la statuetta del Duomo di Milano). C’è il pettirosso che si sporca del sangue del Messia per alleviargli il dolore levandogli la spina conficcata sulla fronte (Emilio Fede). Ci suono i suoi luoghi sacri di culto e venerazione della sua immagine (reti Rai e reti Mediaset). Ci sono i parroci che celebrano le messe (Capezzone, Lupi, La Russa, Brambilla, Belpietro, Feltri). C’è la sacra Bibbia (Il Giornale e Libero). C’è il perdono del Messia: “ho perdonato Longino (Tartaglia)”. Infine c’è Giuda (Gianfranco Fini) ma questa, è tutta un’ altra storia.
Stefano Poma (collaboratore)
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