La Joint venture Auricchio-Gazzetta
Martedì 16 febbraio, aula 216 del Tribunale di Napoli, in scena l’ennesimo atto degno del teatro dell’assurdo. Sul palcoscenico calcato dal processo a Moggi depone come teste dell’accusa il tenente colonnello Auricchio, uomo chiave (si diceva) per l’accusa, e colui che insieme al collega Arcangioli aveva condotto le indagini sulla trascrizione delle intercettazioni telefoniche.
Capitolo Bertini:
– Quali partite arbitrate da Bestini ha visionato? – Chiede il pm
– Solo Juve-Milan, in televisione – risponde Auricchio.
– A livello investigativo cosa ricorda?
– Nulla, solo la vittoria della Juventus
Peccato che la partita terminò 0-0.
Capitolo fonti di indagine: il carabiniere conferma di aver fatto riferimento ai tabellini delle partite tratti dai giornali, e che entrare nel merito non è mai stato oggetto della sua attività investigativa. Ogni riferimento ad ammonizioni o rigori è sempre stato dedotto dai giornali, opportunatamente selezionati: in particolare Gazzetta e Repubblica, mai Tuttosport. In questo contesto il tenente-colonnello nega di aver mai fatto riferimento ad ammonizioni volontarie (in realtà un cavallo di battaglia della Gazzetta da 4 anni???).
Capitolo incontro Moggi-Mazzini-Giraudo-Bergamo: – si ricorda se c’erano le mogli? – Risponde Auricchio: – no, non c’erano. Ribatte il giudice Casoria: – ma scusi, lei aveva detto che c’erano! – Auricchio: – ah sì? Allora non me lo ricordo! –
Ricordi che vanno e vengono, le mogli c’erano, e non erano mascherate da mediani.
Fino all’udienza di ieri i teste portati dall’accusa non avevano propriamente impressionato. Prove nessuna, moltissimi “si dice” e “è una mia sensazione”, poca roba insomma. Senza contare inquietanti nuove rivelazioni (nuove per chi non si era interessato già nell’estate 2006, perché chi voleva vederci non dico chiaro ma almeno capire l’antifona, ha sempre potuto contare su una piccola fetta di controinformazione circolata su internet, giacché i media tradizionali non hanno mai modificato la linea di condotta giustizialista intrapresa ancor prima del procedimento sportivo). Nuove rivelazioni dicevamo (nuove si fa per dire, ribadiamo): tra queste il fatto che tutti parlavano con gli arbitri (ma va?), in primis Facchetti con l’arbitro Nucini, ed il Milan in rapporto privilegiato con alcuni guardalinee (Copelli e Puglisi) via il suo addetto agli arbitri (Meani); e che chi si presentò in procura denunciando pressioni dai vertici di altre squadre (il guardalinee Coppola invitato da dirigenti dell’inter a modificare un referto) non venne ascoltato, poiché non ritenuto interessante ai fini dell’indagine.
Insomma, un’indagine che sembrerebbe fatta nascere con un finale già prestabilito: il mostro Moggi. Tutto ciò che esula dal tentativo di dimostrare la tesi si può benissimo non considerarlo.
Al processo di Napoli questa sensazione sembrava già essere venuta a galla, vuoi appunto per le nuove rivelazioni, vuoi per l’assenza di qualsiasi prova concreta portata dagli inquirenti, vuoi per aver tentato di rigiocare persino carte già scartate dalla stessa giustizia in precedenza (vedi caso di Manfredi Martino e sorteggi pilotati, già passati al vaglio della giustizia e giudicati regolari).
Ieri la deposizione di Auricchio di cui sopra abbiamo riportato un minuscolo campionario, e che martedì prossimo 23 marzo sarà ancora di scena quando dovrà affrontare il controinterrogatorio degli avvocati di Moggi e De Santis, ha ancora una volta posto seri dubbi sulla serietà del processo di Napoli (mi si perdoni la ripetizione).
Non che debba sorprendere che Auricchio non sia competente di calcio e non sia entrato direttamente nelle valutazioni: insomma mica si può essere tuttologi e conoscere di tutto.
Ma chi compie delle indagini, dove non è competente, solitamente si avvale di perizie e consulenze. La scelta di basare le proprie valutazioni sui commenti di Gazzetta e Repubblica risulta pertanto al limite dello scabroso. Ma è l’emblema del metodo con cui l’intero universo di calciopoli (più efficace sarebbe chiamarla farsopoli) è stato guidato. Ogni episodio preso in esame è stato corredato da articoli di giornali, escluso, per stessa ammissione di Auricchio, Tuttosport, l’unico quotidiano sportivo ai tempi vicino alla Juventus. Per il resto Gazzetta, più vicino ad inter e in parte Milan, e persino il Corriere dello Sport per la partita con la Roma (e il corriere dello sport è appunto vicino alla Magica).
Nel frattempo si attendono le motivazioni del primo grado del processo a Giraudo, dal dispositivo del quale apprendiamo comunque che è stata rigettata l’accusa di associazione a delinquere, mentre resta in piedi quella di frode sportiva, oggetto della quale sono 3 partite (Udinese-Brescia, Juve-Udinese, Lazio-Juve, tutte campionato 2004), per una delle quale, lazio-juve, non vi è neppure una intercettazione a carico di Giraudo, ed i commenti a carico delle indagini sulla partita sono stati riportati dal sito della Lazio!
L’esito di quanto a Napoli è a rischio assoluzione, giacché il quadro probatorio desolante non sembra stare in piedi (ma neanche seduto!). Forse il baraccone della giustizia sportiva può reggere un processo di interpretazione alle intenzioni, ma portare come prove gli articoli della Gazzetta e le sensazioni di Zeman e dello zio Ubaldo in un procedimento ordinario, non è così scontato che riescano a convincere il giudice Teresa Casoria che Moggi sia quel mammasantissima dipinto dai giornali in questi anni.
Un’ultima annotazione. Il processo Gea ha già sancito che non vi era associazione a delinquere, il processo a Giraudo l’ha confermato in primo grado (anche se si attendono le motivazioni), ed ora il processo a Moggi sembra dirigersi verso una bolla di sapone. Peccato che la Giustizia Sportiva, nonostante una giuria sostituita ad hoc all’ultimo momento (a incolpazioni già pronunciate!) e commissionata da un ex membro del cda dell’Inter, non abbia riscontrato neppure un caso di illecito sportivo: e pertanto, per condannare la Juventus, ci si sia riferiti ad un “illecito strutturato”, che sarebbe l’esatto equivalente nella giustizia sportiva dell’associazione a delinquere.
Se dunque la Giustizia (quella vera) assolvesse in ogni dove i dirigenti juventini dall’accusa di associazione a delinquere, si prefigurerebbe una situazione per cui (articolo 39 del codice di Giustizia Sportiva, comma d) la famigerata sentenza disciplinare che condannò la squadra bianconera ed i suoi vertici dirigenziali potrebbe essere rivista e sovvertita.
Su tutto ciò pesa tuttavia un ultimo interrogativo, che dovrebbe inquietare molto ogni tifoso juventino e non indurlo ad indugiare troppo in sogni di rivincita: ma qualora ciò davvero avvenisse, chi sarebbe autorizzato a richiedere la revisione del processo? La Figc, il Coni? Ma chi lo farà mai, sbugiardando sé stesso o rischiando risarcimenti inimmaginabili che manderebbero in rovina ognuno di questi enti e similari?
L’unica che potrebbe richiederlo è la Juventus stessa. Ovvero quella società che in quell’estate diede mandato al suo avvocato Zaccone di ammettere due illeciti sportivi (peccato non ne fu trovato manco uno). Quella società che chiese il patteggiamento per il doping amministrativo gestione triade, mentre il Tribunale riscontrò una assoluzione piena poiché il fatto non sussisteva. Quella società che avrebbe potuto ricorrere a Tar e Tas (poiché queste cose erano ben note già ai tempi) ma non lo fece. Quella società che fa parte di un universo che assunse come consulente proprio Guido Rossi giusto al termine dell’inquisizione sportiva. Quella società che abbandonò i suoi dirigenti nel 2006 prima di iniziare i processi per questioni “etiche”, ma che quando uguale situazione si presentò per Gabetti nel caso equity-swap, col fischio che lo abbandonò. Quella società il cui proprietario detiene La Stampa, ed è azionista di riferimento nel gruppo rcs (Corsera, Gazzetta): organi di informazione che quando si tocca il testamento del nonno intervengono inferociti, mentre nella primavera del 2006 furono i primi ad attaccare Juve e Triade. Quella società che ad ogni aggiornamento del processo di Napoli, dal quale potrebbe uscire la verità, non spende mai una parola.
Non si illudano i tifosi di Madama, semmai aprano gli occhi, potrebbe non essere ancora troppo tardi. Il nemico che c’era ai tempi potrebbe esserci anche oggi, e non è detto che abbia un cognome comune come Rossi, anzi magari non è nemmeno un cognome italiano…
Masonmerton (collaboratore)
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