Falcone, Borsellino e il tritolo della retorica
Parto da una premessa che sono conscio verrà dimenticata appena dopo il punto che ne sancirà la conclusione, ma ci provo lo stesso.
Chi non vive nel profondo sud, in quella Sicilia soffocata dalla malavita organizzata e scossa dalla stagione delle stragi in un secono e dalle stragi a lungo termine fatte dalla somma di piccoli omicidi di mafia quotidiani, forse non può capire e non è nemmeno giusto che si avventuri in analisi antropologiche sul fenomeno della mafia e dell’antimafia militante. Detto questo, dal di fuori, sovvengono delle considerazioni che vorrei esporre correndo il rischio di attirare le ire degli “impegnati”, altro fenomeno che fa parte del ragionamento.
Prendo spunto da due notizie recentissime, una ci ha descritto l’atto di vandalismo che ha causato il ribaltamento con conseguente rottura delle statue di Falcone e Borsellino collocate a Palermo in occasione del diciottesimo anniversario dalla morte di Paolo Borsellino. Seconda notizia, del giorno successivo, intitolata “Palermo volta le spalle a Borsellino” che descrive la scarsissima affluenza alla “marcia delle agende rosse”, per la quale forse per la prima volta i dati della questura coincidono con quelli degli organizzatori: “quattro gatti”.
Dalla morte di Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, vero trauma per tutto il paese è partita una giusta battaglia di ribellione alla malavità, anche sull’onda dello sconcerto e della rabbia generale, ma negli anni successivi la retorica, lo sciacallaggio politico e la demagogia (tutti atteggiamenti che non appartenevano ai due magistrati come è ampiamente documentato) ha sorpassato (a sinistra) l’impegno per la svolta.
E così l’antimafia non è stata più sinonimo di impegno delle forze di polizia, della magistratura, della politica, delle agenzie educative o perlomeno non lo è stato principalmente, ma è stato il trionfo di alberi addobbati a fogliettini, statue anche un po’ kitch, t-shirt con slogan d’impatto, concertini e agendine sventolate in cielo.
A diciotto anni dall’inferno forse la consapevolezza che la mafia, radicata da centinaia di anni in una società e una cultura predisposta a certi germogli non si sradica con le belle parole ma con i gesti concreti e soprattutto, pare, ma forse mi sbaglio, che chi ha voltato le spalle a Borsellino e Falcone non è tanto il gruppetto di imbecilli che ha rovesciato due statue o disertato una manifestazione un po’ capziosa, ma chi ha usato la loro memoria per sparare nel mucchio, per legittimarsi politicamente e per accendere il ventilatore dietro un olezzo che più che di profumo di onestà sa di putredine da sepolcro imbiancato.
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