Che ne è stato dei minatori del Cile?
La storia dei trentatré minatori cileni liberati dopo 70 giorni di isolamento nel sottosuolo in seguito al crollo della miniera dove lavoravano ha attirato l’attenzione di tutti i media a livello internazionale e ha commosso il mondo.
Il finale poi è stato da antologia con la liberazione di tutti i protagonisti della vicenda riportati in superficie da una capsula calata lungo un cunicolo e poi ritirata su.
Prima sono usciti i più agili, poi i più fragili quindi i più forti e per ultimo Urzua, il mitico “capitano”.
Gli eroi del Cile, uomini che non si sono mai dati per vinti, che hanno creduto sino in fondo alla propria liberazione che, dopo quasi due mesi e mezzo di oscurità sono risorti alla luce.
Qualcuno ha anche interpretato questa vicenda come un riscatto storico e politico per il Cile, per rimarginare più velocemente le ferite della dittatura di Pinochet.
Insomma… e vissero tutti felici e contenti. Un cacchio!
Un reporter inglese che ha seguito tutta la vicenda da molto vicino, riuscendo ad ottenere diversi particolari in esclusiva, nel suo libro dedicato all’evento intitolato Los 33, dipinge con toni molto meno epici quei due mesi e dieci giorni nella viscere della Terra e soprattutto il periodo successivo, dopo che i riflettori si sono spenti.
Storie di messaggini inviati dalle famiglie lungo i primi stretti cunicoli di comunicazione con in mezzo sigarette e spinelli. La formazione di un gruppetto che non faceva girare lo spinello ma se lo fumava in segreto in disparte che poi sembra difficile che gli esclusi non sentissero l’odore tipico. Mah.
Storie di cannibalismo con occhiate lascive nei confronti dei più fragili, quelli che da subito hanno mostrato problemi di salute e rischiavano di non farcela. Qualcuno dei reclusi ha fatto il proposito, in caso di estrema necessità, di azzannarsi il compagno di avventura per sua stessa ammissione.
E poi c’è l’amore e la dignità della donna, perché i trentatré minatori erano sì eroi, operai dell’estremo, votati all’abnegazione e al sacrificio ma pur sempre uomini e allora, non avendo a disposizione la loro Biancaneve come i sette più fortunati colleghi della favola, e non avendo evidentemente intenzione di dedicarsi a qualcuno dei propri compagni, hanno fatto una richiesta un po’ particolare ovvero che gli venisse calata, oltre ai messaggi di incoraggiamento e al mangiare, anche una bambola gonfiabile.
Richiesta rifiutata sin da subito e senza esitazioni. Inutile crudeltà? Puritanesimo d’accatto? Rispetto della dignità della donna? Niente di tutto questo. Il rifiuto è venuto in seguito al parere degli esperti psicologi messi subito a disposizione dei malcapitati sin dai primi giorni dopo l’incidente che hanno sentenziato “meglio no, potrebbe creare gelosie…”. Sembra una barzelletta da festino ma è tutto documentato.
Gli altri particolari curiosi e non del tutto inediti sono riportati tutti nel libro ma ciò che colpisce ancora di più è il dopo. Sì perché dopo che i valorosi sono stati liberati e le troupe televisive hanno smontato i faretti e le telecamere ognuno dei Los 33 è tornato a casa sua, dalla propria famiglia per chi ce l’aveva e oltre a qualche ospitata tv, proposta di candidatura politica e altre iniziative si è pure ritornati alla vita normale di tutti i giorni.
Come molti soldati americani di ritorno dalla guerra del Golfo sono rimasti scioccati per sempre anche i nostri hanno avuto qualche problemino. Si narra ad esempio che uno di questi tornato a casa ha avuto un totale calo degli affetti familiari e adesso è disperato perché non riesce a provare nulla per il proprio figlioletto per il quale giustamente, da padre, provava un grande affetto.
Un altro sta costruendo un muro intorno a casa sua senza sapere perché lo sta facendo, lo fa per un impulso vitale e con gesti automatici, senza averne nessuna esigenza riconducibile a sani ragionamenti.
Altri hanno continuato in modo un po’ ossessivo l’attività iniziata in miniera ovvero quella di aiutarsi con il fumo nei momenti difficili e della sanità mentale altri ancora non si sa che fine abbia fatto.
Rinascere a vita nuova uscendo dall’utero della terra come neonati che strillano in una sala parto fatta di escavatori e fango è un lieto evento, senza dubbio, poi viene il bello e non sempre basta mettersi un paio di lenti scure per non farsi abbagliare dalla vita nuova dopo tanto buio.
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