E se il nucleare non fosse poi così male?
Negli ultimi anni molti si sono cimentati nell’argomentare i pro e i contro del ritorno al nucleare in Italia ma, come capita di solito nel nostro Paese, l’argomento è diventato motivo di divisione politica e preso a vessillo per fini di mera propaganda elettorale.
Lasciando da parte gli slogan e le battaglie sarebbe invece utile capire veramente cosa comporta un ritorno all’energia nuclerare in Italia che negli ultimi tempi, alla luce delle dichiarazioni degli esponenti del governo, da possibile è diventato molto probabile.
Ho preso spunto d riflessione da un articolo pubblicato su Il Riformista da Umberto Minopoli che mi ha dato alcuni elementi per avere un quadro più chiaro sull’argomento che vorrei tentare di esporre in queste righe.
Di solito le discussioni portate dai detrattori del ritorno al nucleare vertono su due filoni principali: l’aspetto economico (“non è conveniente”) è l’aspetto dell’impatto ambientale e sociale (“non è sicura”).
L’impatto emotivo maggiore sulla popolazione è naturalmente costituito da questo secondo filone, lo stesso che ha portato la maggioranza degli italiani a votare NO al famoso referendum del 1987. Proprio su questo voglio provare ad approfondire sfatando alcuni miti grazie a dati oggettivi che ciascuno può verificare con un minimo di navigazione in Rete.
Iniziamo con il dire che nessuna tecnologia è sicura al 100%, basti pensare ai recenti incidenti occorsi su piattaforme petrolifere o in diversi centri di raffinazione di carburanti. Per quanto riguarda le centrali nucleari è interessante sapere che l’unico incidente rilevante nella vita di questo tipo di produzione energetica (60 anni) è stato quello di Chernobyl (55 morti). Si parla di una centrale unica nel suo genere per costruzione e gestione a tal punto che nemmeno in Russia ne esistono più di quel tipo e di un incidente causato esclusivamente da errore umano. Se poi si vuole essere obbiettivi basta prendere lo stesso periodo di tempo dal 1950 a oggi e vedere quanti sono gli incidenti nei settori come l’idroelettrico, il gas, il carbone, la chimica, la siderurgia e così via e poi mettere in comparazione i risultati. Se prendiamo anche solo i dati relativi alla perdita di vite umane il confronto è impietoso.
Detto questo il vero problema “politico”, nel senso nobile del termine che esclude il concetto di “teatrino”, rimane quello di rispondere ad una ed una sola domanda che pongono i cittadini: “quanto è sicuro vivere vicino ad una centrale nucleare? Quali sono i rischi?”
La centrale nucleare non esplode, al contrario di quello che si pensa non c’è pericolo esplosivo nel processo di generazione dell’energia, nè ci sono rischi occulti o non prevedibili, il più temuto degli incidenti ipotizzabili è il rilascio di radioattività nell’atmosfera. Ebbene, non è mai avvenuto tranne che a Chernobyl e per una ragione elementare: quella centrale, unica al mondo, non aveva un contenitore. Insomma era scoperta. Oggi un territorio in cui è presente una centrale è, addirittura, più sicuro di uno in cui sono presenti impianti industriali o energetici di tipo convenzionale. L’emissione di ogni tipo di rilascio in atmosfera è monitorato e controllato in ogni aspetto. E le norme impongono quantità (solo teoriche) di rilasci ammissibili che sono enormemente inferiori a quelle esistenti per natura o a quelle rilasciate da una radiografia.
Quindi sfatiamo questo mito di fauna e flora deforme nei pressi delle centrali o di pantegane fosforescenti che scorrazzano nella notte, insomma tutte quelle immagini più consone ad una puntata dei Simpsons piuttosto che ad un discorso serio e ponderato sulla sicurezza.
Altro problema annoso per la popolazione che in passato ha generato sommovimenti popolari nelle comunità locali: lo stoccaggio delle scorie.
Da 60 anni le scorie generate dai processi di produzione dell’energia nucleare vengono trattate, confinate in contenitori sicuri, trasportate e stoccate senza alcun pericolo nelle stesse centrali per anni. E poi spostate in depositi sicuri di cui tutti i Paesi nucleari si dotano, senza particolari timori. Le scorie nucleari sono tra i materiali più conosciuti e dal comportamento prevedibile che l’uomo abbia imparato a trattare e dominare.
Ma allora il discorso sulla problematica di cosa fare delle scorie?
La risposta è nel cominciare a non chiamarle “scorie” infatti oggi è possibile che dai materiali prodotti dal processo nucleare si possa ricavare nuovo combustibile riutilizzabile. E nella quantità del 90% delle vecchie scorie. Non solo. Le tecnologie consentono di ipotizzare un trattamento di tali materiali ridotti: da scorie ad alta attività che dura millenni a scorie a media, bassa attività che durano assai meno nel tempo. Anche il problema dello stoccaggio quindi si riduce notevolmente.
Rimane il discorso tecnico e quello economico la cui divulgazione è spesso affidata a siti o blog che fanno della vera e propria propaganda ideologica mettendo in mezzo le fonti di energia alternativa e pulita che nessuno pensa di trascurare ma che, allo stato attuale, non possono garantire il fabbisogno energetico del nostro Paese.
I costi? Quanto conviene in termini di incidenza sulla bolletta? Che poi è quello che interessa all’uomo comune?
Bene, solo il carbone regge la sfida con la competitività del prezzo di generazione del KWh nucleare. Ma sul carbone pesa il problema dei possibili gravami da carbon tax che ne appesantiranno i costi di produzione.
L’investimento iniziale e quello fisso nel nucleare è alto, questo è innegabile ma una centrale dura 60 anni come minimo e dopo un certo numero di anni l’investimento, che va visto anche in termini occupazionali e di ricerca scientifica, si ripaga e la centrale produce utili che non hanno confronti con quelli di altre fonti.
L’Italia importa quasi l’80% del combustibile (principalmente gas) da pochissimi Paesi (Russia, Algeria soprattutto) e per giunta politicamente instabili. L’Italia ha l’urgenza di smarcarsi da questa dipendenza e poter contare su diverse fonti energetiche. È questo il principale problema del futuro italiano in termini di fabbisogno energetico.
L’Italia non riuscirà mai a centrare l’obiettivo di una riduzione del tasso di immissione di CO2 in atmosfera se non porta, entro il 2020, il peso delle fonti fossili dall’80% attuale a poco più del 50%. Nessun serio e onesto analista della realtà attuale potrà mai affermare che questo possa avvenire con le sole fonti rinnovabili. Il nucleare ce lo consentirebbe.
7 comments