I muri che non crollano

I muri che non crollano

In questi giorni assistiamo a miopi festeggiamenti, celebrazioni chiassose, tricche tracche fatti roteare da gente dalle guance rubiconde, fumi d’alcool che riempiono e sospingono sgargianti lingue di menelik in un’orgia di colori e sapori destinati a lasciare al risveglio solo una sorda nausea. I muri eretti a segnar confini, distanze, fossati ideologici, limiti e pochezze mentali. Gli stessi uomini che con la sinistra alzano i muri con la mano destra li abbattono, urlando al popolo parole di conforto: “siete liberi, evviva!”, che a noi suonano come versi di un triceratopo eunuco che, impossibilitato alla copula, cerca rifugio nella sterile, stucchevole favella. Sono loro gli imbonitori che abbattono gli steccati fisici per innalzare quelli ideologici, mammiferi razionali che pretendono di ergersi dalla folla dal sangue freddo.

Siete liberi!” continuano a ripetere, tanto che la folla inizia a farsi sedurre dalla menzogna. Il popolo sassone una mattina si è svegliato non sapendo se dovesse pagare l’affitto allo zio Sam o agli ex utilizzatori finali di zarine. Coloro che, sedotti da Rasputin e dal vitello d’oro del Comunismo, hanno sobillato il popolo fornendo loro una religione sociale: non più un egualitarismo inteso come parità dei diritti ma bensì un appiattimento alla mediocrità, come lo studente modello costretto ad aspettare il ragliante somaro.

Un popolo variegato di operosi picconatori, generosi maniscalchi dalle mani callose dovuti a sacrifici al Dio Onan, nerboruti operai dallo sguardo fesso: tutti coloro che non potendo entrare nella Storia come protagonisti dalla porta principale cercano di aprirsene un varco con martello e piccone. Ora questi umili fattori son diventati capi-gregge, e al posto del piccone stringono l’oro della demagogia da due spiccioli della prosopopea piagnona.

Siete liberi, che aspettate?

Fritzvaldt & Giannantoni (collaboratore)

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