il fascino delle manette
Tangentopoli ha trovato un popolo pronto ad accettarla. È stata la perdita dell’innocenza, è stata la pubertà della Repubblica, dove non schiacciavamo brufoli ma vite umane. Ad ogni brufolo potremmo dare un nome. il pus come vasi sanguigni divelti, vene nei colli taurini che si gonfiano strangolati da abborracciati cappi fatti di lenzuola intrise di sangue e lagrime, appese alle bronzee sbarre che racchiudevano i presunti rei.
Eccoli i nostri eroi, sbattuti in prima pagina, con le loro toghe svolazzanti frustate dal vento di ribellione, avvisi di garanzia che pesano come are, novelle rock star dal congiuntivo psichedelico, mascagne impomatate che dinnanzi alla brezza resistono resistono resistono. Il rumor dei passi sul freddo marmo incute ancor timore nei palazzi del potere. Ma di chi è la colpa? E chi è il carnefice? Quel che è certo è che gli italiani riuniti attorno alla tv a vedere Un giorno in Pretura, coi volti trasfigurati d’odio, non erano poi così dissimili dagli antichi romani che facevano il tifo per i leoni, sabbia dell’arena, ghiaione, polvere e siero, e la bava di felini che anelano il pasto e che si stiracchiano al sole della giustizia. Ora le fiere, consumato il loro pasto, ritornano pigramente nei loro antri maleodoranti, satolle dal bolo appena consumato con brandelli di carne che penzolano ai rasoi ossei che da lontano paiono pezzi di Costituzione; i ventri molli che ballonzolano ebbri di gioia infantile, danzano in festa attorno alla carcassa che già si disfa in rivoli cremisi.
Chi ritorna dal Colosseo e racconta le gesta ai figli usa iperboli nel descrivere la mattanza, poscia soddisfatti si ritirano nella propria stanza nella convinzione che il sangue di un vinto possa essere la base per un mondo migliore.
Fritzvaldt & Giannantoni (collaboratore)
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