Il Grande Sogno
Il Grande Sogno troverà di sicuro chi lo classificherà come una sbobba sinistroide sul 1968. Durante la visione io ho voluto leggerci onestà, con la sensazione che Placido ci abbia messo il cuore nel realizzare quest’opera che attinge a piene mani dalla propria esperienza di vita. Certo è un lavoro di un regista di sinistra, si nota nonostante Placido cerchi di non tracciare una linea ferrea tra il torto e la ragione; così ad Argentero affida la figura di un contestatore idealista che ben presto degenererà nell’embrione delle Brigate Rosse mentre a Scamarcio pone tra le mani un poliziotto che svolge il proprio mestiere pur simpatizzando per il Movimento, a simboleggiare tutti quelli che hanno solo obbedito agli ordini nel rifilare manganellate agli studenti ma in realtà ne avrebbero fatto a meno se non ci fosse stata in gioco la pagnotta. Nonostante questo tentativo alla fine la divisione tra buoni e cattivi rimane evidente, ed ovviamente sbilanciata verso i sessantottini. Ma a Placido non voglio rimproverare neppure questa pecca, anche perché non vedo la ragione di mascherare le proprie idee ed il proprio giudizio su quel momento storico. Andando a vedere Il Grande Sogno si sa che è girato da un cineasta che saluta col pugno chiuso, quindi i patti son chiari sin dal principio. Non è dalla faziosità manifesta che bisogna guardarsi, piuttosto da quella camuffata che s’annida nelle nostre TV e sulla nostra carta stampata. Quel che rimprovero a Placido è l’aver realizzato un film riuscito a metà; nella trans artistica di dar sfogo ai propri ricordi ed alla drammaticità di quegli anni, il regista si dimentica che c’è anche uno spettatore dall’altra parte dello schermo. Dopo un po’ il film si fa pesante, e seppur la storia non perda mai d’interesse si arriva al punto d’invocarne la conclusione. Si ha la sensazione d’assistere ad uno sfogo in celluloide, il tentativo di dare un’istantanea del 68 da parte di chi l’ha vissuto da protagonista. E se preso in questo senso, quindi senza affilare le armi della critica storica ma accettandolo come un affresco di sinistra della contestazione studentesca alla Sapienza di Roma, si può considerare una buona visione.
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