Il predellone di Fini
Il Presidente della Camera Gianfranco Fini è molto nervoso, quasi iracondo, di fronte ai suoi seguaci di Futuro e Libertà radunati sotto il palco di Mirabello intorno alla first lady Elisabetta e galvanizzati dalle esibizioni dei giorni precedenti a cura di Lello Lelli e il mago Kabul (sic!), Franco Bagutti e la sua Grande Orchestra e la musica e i balli di Benny e Vivetta.
Per capire il discorso del cofondatore del PDL pronunciato con la retorica di un tempo e il sarcasmo che gli è congeniale bisogna dividerlo almeno in tre parti fondamentali.
La prima parte è quella dei sassolini, da togliere in fretta dai mocassini e da sfracellare in testa al premier, ai colonnelli e al partito tutto. Non ho citato volutamente le invettive contro Vittorio Feltri, il Giornale e Libero perchè più che di sasssolini in quel caso si trattava di veri e propri macigni.
Gianfranco Fini non lo si scopre domenica 5 settembre, il presidente della Camera è uno che te la fa pagare alla prima occasione, sta scalando rapidamente le classifiche dei politici che querelano ai danni dei giornali e sicuramente è al primo posto di quelli che querelano difendendo la libertà di stampa.
Questa prima parte era abbastanza scontata, mancava solo la bava alla bocca e c’è da capirlo, gli hanno toccato la famiglia in modo virulento, chi è che non si sarebbe risentito?
In questa parte c’è anche una invettiva contro l’attuale situazione del PDL a partire dalla cacciata “staliniana” che a detta di Fini avrebbero subito lui e i suoi sodali. L’idea di un Fini martire però, per chi ha seguito le vicende politiche con il corollario di dichiarazioni e lo stillicidio di distinguo degli ultimi mesi, sembra forzata. Chi poi ha conosciuto Gianfranco nella gestione dell’MSI e di Alleanza Nazionale ricorda bene come venivano trattati i “dissidenti”.
Molti dei contenuti enunciati da Fini in questa prima parte sono condivisibili in linea di principio ma sorprende che in sedici anni di vita al fianco del Cavaliere l’ex postfascista si accorga solo ora dello smisurato ego del premier.
La seconda parte è propositiva. Tutta una serie di enunciati che riconciliano con la politca ma solo con quella parlata. Sì perchè Fini accusa di essere interpellato su cinque punti sui quali tutti sarebbero d’accordo lamentando però di non conoscerne i reali contenuti. “Sono solo titoli” ha detto. Peccato però che il suo discorso sul rilancio del Paese sia a sua volta pieno di titoli, slogan di una demagogia che lascia attoniti, frasi strappapplausi in modo talmente convincente che io stesso, incollato alla radio ad ascoltare il discorso, avevo il riflesso involontario di batter le mani.
E poi c’è la terza parte ovvero quella che non c’è stata.
Quella dove manda a quel paese Berlusconi, il PDL e annuncia il nuovo partito, Alleanza Nazionale 2 la vendetta o il ritorno. Sì perchè è come vedere Bruce Willis che dopo aver ucciso a pugni in faccia e rivoltellate tutti gli scagnozzi del cattivone poi al suo cospetto lo bacia in bocca. Fini annuncia che darà la fiducia, che sarà leale, che si batterà perchè il premier abbia uno scudo per le stilettate della giustizia.
Eh no, Gianfranco, sei inciampato sul finale. E’ come se alla fine di sei stagioni di Lost ci avessero proposto un finale con uno che si sveglia sudato nel suo letto ed esclama: “era tutto un sogno!”
Ma forse il fatto è proprio questo. E’ tutto un sogno o un incubo. Un presidente della Camera che fa comizi politici da campagna elettorale contro il governo e contro il partito che lo ha messo lì, su quello scranno.
Non mi aspettavo che Fini rispondesse alle accuse sulla casa gestita dal cognato, non condivido le campagne in questo senso di Feltri e di Libero, tantomeno il “metodo Boffo” più volte invocato e penso che il problema, in fondo in fondo, se fosse limitato a questo sarebbe anche troppo semplice da risolvere per Fini.
Il problema di Fini è la sua credibilità politica, la fiducia che infonde ai suoi elettori, il senso di coerenza che ispira, per me praticamente nullo e credo per molti che lo hanno votato nella sua versione precedente.
Che dissenta Fini, che dissenta dall’operato del Governo, che dissenta dal gruppo di maggioranza in Parlamento, che dissenta dal leader del suo partito e che dissenta anche con poco eleganti battute (oltre che troppo facili) su Bossi, Ghedini e altri “stranamore” intorno al premier, che dissenta ma non dall’interno, non tenendo il piede in due staffe, non con il fondoschiena sulla sedia della terza carica dello Stato, dissenta anche con forza ma con un po’ più di coraggio altrimenti questo torrente di parole, buoni propositi e rabbia pù che dissentire è dissenteria.
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