L’agit-prop dei delusi
L’agit.prop nel passato è stato un formidabile strumento di propaganda, utile ed efficace nel veicolare un messaggio, coinvolgere gli strati sociali meno informati e più rozzi, se non proprio analfabeti. La forma era il teatro, gli anni erano tra il venti e il trenta, il comunismo non aveva ancora oliato la sua macchina di mistificazione, e ad ogni modo da qualcosa si doveva pur iniziare.
In quest’epoca è più facile lanciare un motto, cavalcare un moto di protesta che infiammi le folle di internet. Purtroppo, non appena sta per arrivare al grande pubblico, inizia a sgonfiarsi la mobilitazione. Vuoi perché la campagna virale ha trovato un altro tormentone più fresco da cavalcare, o forse più probabilmente l’idea che animava la precedente campagna non era poi così solida, ed un vuoto andava riempito con un altro vuoto più grande.
Sempre a proposito di vuoti proprio ieri l’ex democristiano ed ormai quasi ex leader del PD Franceschini ha esposto la sua idea geniale “e se per protesta, nonché solidarietà verso il giudice Mesiano, ci mettessimo i calzini turchesi? Non sarebbe una figata?“
L’idea di Franceschini è abbastanza stupida da poter fare il botto nelle prossime 48 ore, certo poi si affievolirà, ma visto che è stata l’unica idea durante la sua breve reggenza c’è poco da fare gli schizzinosi. Per una politica fatta coi piedi la priorità è il calzino appunto.
Non che il caso Mesiano e il pietoso servizio di mattino cinque non meritasse un commento o una presa di posizione, ma la campagna dei calzini colorati sembrera un azzardo.
Dare però la colpa a Franceschini di ciò sarebbe ingeneroso, perché il popolo dei depressi vuole esattamente questo, e Dario non fa altro che imboccare i compagni delusi con campagne che non lasciano e non lasceranno il segno. Così come quando Berlusconi, alla vigilia delle elezioni, disse “chi vota contro i propri interessi è un coglione” scatenò il popolo dei disobbedienti con la campagna di “io sono un coglione”, con tanto magliette palloncini colorati e cartelli. Oppure, sempre quando Berlusconi definì il presidente degli Stati Uniti Obama “abbronzato”, come prima di lui fece vittorio Zucconi di Repubblica (diversamente dalla Binetti che lo definì negro), l’agit-prop dei frustrati ebbe la bella idea del sito not in my name, dove molti trovarono vitale mettere la loro faccia per dire che il presidente non parlava per loro conto, con tante scuse al futuro nobel. Per non parlare della recente maglietta che richiama la frase della Bindi “non sono una donna a sua disposizione”, e tacendo su altre mille note di colore tra le quali i girotondi. Atteggiamenti che forse tradiscono la tipica frustrazione delle minoranze, ma sono anche un modo per rimanere uniti, di condividere un pensiero unico, di mobilitare le persone, e poco importa se il metodo è infantile e il messaggio pure.
Dario Franceschini questo l’ha capito, anche se troppo tardi. Con l’inizio dei primi freddi e con i vestiti invernali tolti dalla naftalina, quello del cambio dei calzini è il metodo più rapido per scaldare il cuore della gente.
Partendo dai piedi.
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