Milan non ti riconosco
Ciascuno in base all’età ha avuto il proprio berlusconismo. I più attempati ricorderanno i tempi di Milano 2 e Milano 3, quando un palazzinaro di nome Silvio Berlusconi cominciava a salire agli onori della ribalta. Qualcun altro sarà più legato alla grande sfida contro il monopolio RAI, all’intuizione di simulare un canale nazionale grazie ad una sapiente differita sui network locali, il passaggio di Mike Bongiorno al biscione. Magari sarà rimasto impresso il Berlusconi portato in trionfo dal trio olandese, Sacchi con gli occhiali a specchio, le sbiadite dirette notturne da Tokio per la Coppa Intercontinentale.
Infine, i più giovani, si abbeverano dall’immaginario del Berlusconi davanti ad una libreria che annuncia la sua discesa in campo, l’inno “e forza italiaaaaaaaaa”, e la sua riedizione del predellino.
Per me l’immaginario berlusconiano è nato con il Milan. Una squadra che non potevi non amare, per come giocava sul campo ma anche per come spadroneggiava sul mercato. In quegli anni tutto era possibile, l’acquisto fantasmagorico che infiammava l’estate, l’ingaggio stellare che faceva saltare il banco. Oggi ci troviamo di fronte ad un Milan che hanno provato a spiegarci con la logica, con i numeri, col buonsenso, ma che il cuore ancora stenta a metabolizzare. Passi la cessione di Kakà, anche se sfata un tabù. Ma vedere che si stenta a prendere persino O’Fabuloso con quel nome da detersivo per piatti, fa male. Tutto assume contorni macchiettistici, anche i comprimari sentono il diritto di alzare la cresta: Borriello sbraita perchè non vuole giocare esterno, Zambrotta mette pressione alla società sulla vicenda Pirlo che a sua volta preferirebbe fuggire verso i rubli del Chelsea, Inzaghi lamenta la miopia che il bomber già ce l’hanno in casa (i 36 anni non contano?), Pato parla come Paperino e non si capisce quel che intende dire con certe mezze frasi. Ed infine il non plus ultra: il patto del tavolino.
Milan ripigliati! Un tempo il cabaret andava in onda solo alla Pinetina.
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