Primario alle primarie
La scelta di eleggere il proprio leader attraverso lo strumento delle primarie nasce dalla voglia di avvicinarsi il più possibile al modello americano, di rendere veramente democratica l’evoluzione del partito. Agli inizi la cosa piacque anche al Cavaliere che non nascose l’idea di adottare lo stesso sistema anche per il PDL, ma quello più che altro per amore dei voti plebiscitari, non certo delle decisioni collegiali.
Tornando al PD, l’utilizzo delle primarie,
ad ogni tornata congressuale, assume alternativamente le sembianze di una buffonata (primarie con Veltroni e comprimari quando si era già deciso che sarebbe stato lui il segretario) o di una guerra intestina (e intestinale).
Il meccanismo delle primarie porta inevitabilmente alla spaccatura del partito perché se le candidature sono molto diverse e caratterizzate si portano dietro ognuna la propria corrente che non fa altro che coltivare il proprio orticello anche a discapito del partito nella sua interezza. E se questo può capitare in qualsiasi partito dove non sia in vigore il pensiero unico figuriamoci nel PD che non ha ancora metabolizzato la fusione “fredda” fra ex DC, ex DS e con l’aggiunta di giovani rampanti frangettate.
Capita quindi che il candidato Marino cavalchi la notizia dello stupratore seriale coordinatore di un circolo del PD come uno scribacchino qualsiasi di un frizzante blog.
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