Ratzi e i suoi fratelli
A quasi 24 anni esatti dalla storica visita che Giovanni Paolo II compì alla sinagoga di Roma, papa Benedetto XVI si accinge a ripercorrere gli stessi passi del suo predecessore: domenica 17 Gennaio è infatti in programma la visita del Pontefice alla sinagoga romana, terzo tempio ebraico visitato da Ratzinger durante il suo pontificato, dopo quelli di Colonia e di New York.
Il cammino di riavvicinamento tra ebrei e cattolici, dopo secoli di lontananza e diffidenza reciproca, ha mosso i suoi passi fin dai primi decenni del secolo scorso, a partire dal pontificato di Pio XI, per poi trovare il proprio culmine nel documento “Nostra Aetate”, del 1965, fortemente voluto dal Concilio e da Paolo VI in particolare, attraverso il quale venne inaugurata una stagione di dialogo col mondo ebraico che sfocerà, per l’appunto, nella storica visita del 1986, prima di un Pontefice Romano in una sinagoga ebraica.
Ultimamente, tuttavia, abbiamo assistito a un periodo particolarmente ricco di tensioni tra le due religioni, dovuto a delle decisioni prese in seno alla Chiesa Cattolica e fortemente contrastate dal mondo ebraico, non solo italiano, il quale, in maniera più o meno aperta, fa intuire che la politica di Benedetto XVI nei confronti delle altre confessioni sia assai più aspra e meno amichevole di quella portata avanti da Wojtyla.
Ripercorriamo brevemente gli ultimi avvenimenti che hanno portato all’inasprimento dei rapporti.
Luglio 2007: con il “motu proprio” Summorum Pontificum, Benedetto XVI viene incontro ai fedeli tradizionalisti e rende più “libera” la possibilità di celebrare il rito tridentino secondo il Messale del 1962.
Questo rito prevede, nella parte relativa alla Preghiera Universale che si recita la sera del Venerdì Santo, un’invocazione rivolta ai Giudei, affinché si convertano e credano in Cristo.
Nel gennaio 2009 il Papa revoca la scomunica che da vent’anni gravava sui vescovi ordinati, senza permesso pontificio, da mons. Lefebvre: uno di questi, Richard Williamson, scatena un putiferio con delle dichiarazioni assurde riguardo all’Olocausto.
Gli ebrei inveiscono contro il povero Ratzinger, reo di non si sa quale misfatto, visto che fino a prova contraria ognuno è responsabile personalmente di ciò che afferma.
Ma il vero e proprio macigno, che da decenni pesa nei rapporti tra la comunità ebraica romana e la Chiesa Cattolica, è la controversa interpretazione dell’azione di Pio XII durante la Seconda Guerra Mondiale.
Come sappiamo, sulla persona di Papa Pacelli grava la terribile accusa di aver taciuto e non aiutato gli ebrei romani durante i rastrellamenti del 16 Ottobre 1943: il primo a porre la questione fu Rolf Hochhuth il quale, nell’opera teatrale del 1963 intitolata “Il Vicario”, mette in scena un Pio XII complice, con il proprio silenzio, dello sterminio del popolo ebraico, nonostante prove inconfutabili (migliaia di ebrei furono nascosti e protetti dal Vaticano e dalle parrocchie romane) abbiano oramai smentito questa falsa leggenda.
Da allora non è stato mai possibile affrontare questo argomento senza che si verificassero scontri, molto dolorosi, tra i massimi rappresentanti delle due religioni.
Facile intuire, quindi, quale vespaio abbia suscitato la decisione, presa dal Papa un mese fa, di firmare il decreto con il quale si riconoscevano le virtù eroiche di Pio XII, primo tassello del cammino verso la beatificazione di Eugenio Pacelli.
Tutta la Comunità Ebraica Romana, guidata dal rabbino Di Segni, ha protestato e si è dissociata da questa decisione e molti alti esponenti hanno annunciato la propria assenza e boicottaggio alla visita papale di domenica prossima.
Il rabbino di Gerusalemme è arrivato addirittura a dichiarare che, in quanto tedesco, è normale che Ratzinger non abbia a cuore il dialogo con la religione ebraica.
Ora, la questione di fondo che mi pongo è questa: un cammino di fratellanza e il molto spesso criticato ecumenismo fino a dove possono e devono spingersi?
E’ corretto consentire agli esponenti di un’altra religione di intervenire in maniera scomposta, spesso ingerente, su questioni di natura prettamente liturgica e spirituale che riguardano esclusivamente la religione cristiano-cattolica?
E’ giusto che sia sempre la Chiesa Cattolica a muoversi verso le altre religioni, a intavolare il dialogo, nonostante dall’altra parte vengano sempre rilasciate dichiarazioni ricche di diffidenza e ancora oggi i Cristiani vengano perseguitati in molti Paesi del mondo?
Dietro gli atteggiamenti tenuti dai massimi rappresentanti della fede ebraica credo che si rispecchi qualcosa di più specifico e diffuso: Israele e il suo popolo vivono, a causa dell’orrore perpetrato nei loro confronti nel XX secolo, in una sorta di vittimismo perenne, di diffidenza assoluta verso gli altri Paesi e chiunque critichi la loro politica, come se l’abominio dell’ Olocausto subito fosse una specie di assegno in bianco che ti dà il diritto di polemizzare, spesso in maniera arrogante, con chiunque, senza mai una vera autocritica, tacciando per antisemiti tutti coloro che provano a mettere i “puntini sulle I” di certe scelte, logiche e politiche portate avanti dal 1948 a oggi.
Serpico(collaboratore)
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